L'autostima del "Guerriero spirituale" non è la stessa cosa dell'autostima di una persona ordinaria.
La persona ordinaria cerca la sicurezza nell'approvazione degli altri e chiama questo "autostima".
Il "Guerriero spirituale" cerca di essere impeccabile ai propri occhi e chiama questo "umiltà".
La persona ordinaria è legata all'opinione degli altri, il "Guerriero spirituale" è legato solo all'Infinito.
Carlos Castaneda, "Tales of Power"
Spesso a farci dire sì, quando invece vorremmo dire no, è la paura di deludere l'altro. Cosa si nasconde dietro questa disponibilità incondizionata, che in realtà ci mette a disagio?
L'insicurezza che porta a dire sempre di sì
"Perché non riesco a dire di no? Mi accorgo di dire sì e fare fatica a rifiutare, quando invece sarebbe spontaneo farlo". Sono pensieri che fanno le persone che sono super disponibili, al punto da restare imprigionate nel loro stesso comportamento, che da essere positivo e aperto verso gli altri, si trasforma in una gabbia.
Perché accade questo?
"Alcune persone manifestano una costante insicurezza o un atteggiamento dubbioso verso gli altri che porta loro a dire di sì, quando invece vorrebbero dire di no - sostiene lo specialista di psicologia clinica, Prof. Roberto Pani - “tendono ad aderire alla volontà dell’altro in un modo non impegnativo.
Immaginiamo che la mente si muova in un contesto inconsapevole, all’interno del quale il soggetto deve come non deludere l’altro”.
L'eccessiva disponibilità è un modo per non deludere
Le persone che fanno fatica a dire no, quando esprimono un diniego, possono sentirsi a disagio “perché è come se esistesse un conflitto tra un desiderio autentico (di esprimere la propria volontà, il sì) e l’interlocutore interno interiorizzato, rappresentato dal Super Io – nel linguaggio freudiano – che, invece impone di assecondare la volontà dell’altro”.
In altri termini, è come se si fosse guidati da un censore interno, molto rigido e poco malleabile.
"Sarebbe opportuno che la nostra disponibilità verso gli altri fosse molto forte, ma non così rigida da costringerci a piegarci alle volontà degli altri. In questo modo rischiamo di indebolire la nostra posizione affettiva verso gli altri, rovinando il modo con cui ci relazioniamo ad essi". È un po' come mostrarsi sempre deboli e mai assertivi, rischiando l'infelicità.
Dire sempre di sì è un modo per illudermi che gli altri mi vogliano bene: poiché presto sempre ascolto alle richieste dell’altro non si può mai dire niente contro di me.Ha un’origine lontana, l’incapacità di dire di no. «Nasce nelle persone che hanno subito nell’infanzia dei ricatti affettivi», spiega Leonardo Milani dell’lstituto di psicologia del benessere di Ferrara. «In chi, insomma, non ha ricevuto un amore incondizionato, ma subordinato a un gesto, a un’azione. Tipo: “smetti di piangere, se no la mamma va via” o “se non vieni qui il papà non ti vuole più bene”». Per ottenere amore sono quindi abituati a rinunciare ai propri desideri. «Una ferita infantile che viene memorizzata dall’amigdala, il nostro “archivio emotivo”, una parte del cervello che registra gli stati d’animo. Ogni volta che si ripresenta una situazione simile, lo schema si ripete: e dire di no sembra impossibile». L’autostima di queste persone è costruita quindi solo sull’approvazione degli altri. Risultato: più che dei protagonisti della vita sono dei «portaborse». «Per uscire da questa impasse si può ricorrere alla meditazione», dice lo psicologo. Con degli stati di rilassamento guidati si può imparare a visualizzare il proprio valore, che non dipende né dalle opinioni degli altri né da ciò che riusciamo a fare. E’ l”autostima spirituale”, quella interiore. Aiuta a capire che si può dire di no senza ferire l’altro. Anzi, suscitandola sua ammirazione».
Per essere felici bisogna possedere una buona dose di autostima.
Per conquistare l’autostima, è necessario raggiungere l’indipendenza psicologica dai giudizi degli altri. Finchè continueremo a credere “bovinamente” ai giudizi delle persone che ci circondano ed a lasciarci condizionare solo dai loro punti di vista, la strada verso la felicità sarà sempre in salita.
Per aiutarvi a capire meglio di cosa sto parlando, di quanto le opinioni e gli stati d’animo degli altri rappresentino spesso il motivo della nostra infelicità, vi lascio coinvolgere da due brani tratti dal bellissimo libro del religioso Anselm Grun: “Autostima ed accettazione dell’ombra” .
“Molto spesso le persone che hanno una scarsa stima di sè non hanno il coraggio di esprimere la propria opinione: preferiscono adattarsi. Prima, durante un discorso, vogliono vedere qual è l’opinione prevalente; poi portano avanti lo stesso punto di vista. Non hanno il coraggio di dire di no, se qualcuno chiede loro qualcosa. Vogliono essere amati da tutti. Ma poiché vogliono accontentare tutti, restano insignificanti e alla fine non trovano nessuno che voglia veramente essere loro amico. A furia di voler accontentare tutti, perdono essi stessi la ragione della loro vita.
La causa dell’atteggiamento di chi si adatta è da attribuire al fatto che si riceve autostima dall’approvazione e dalla stima degli altri. Ci dobbiamo guadagnare l’accettazione degli altri. Da bambini non si sperimenta mai il fatto di essere accettati grazie al nostro sé. Siamo accettati solo a condizione di essere bravi e di adattarci. In questo modo cerchiamo di adattarci e di renderci amabili a tutti.
Questa però non è vita, ma sopravvivenza.
Persone di questo tipo vivono sempre nella tensione di essere accettate o meno dagli altri: poiché esse stesse non si accettano, sono sempre concentrate sul fatto di essere accettate dagli altri, per poter così sperimentare il loro diritto di esserci. E hanno sempre paura di essere rifiutate: esse riferiscono tutto ciò che vedono a sé stesse. Pensano che gli altri parlano e ridano di loro. Poiché esse stesse non si accettano, pensano che anche gli altri non le accettino. Tuttavia il loro più struggente desiderio è di essere finalmente accettate, di poter finalmente valere agli occhi degli altri. Un comportamento che ricerca l’approvazione è davvero una vita di livello ridotto: ci si deve sempre adattare agli altri; si ha paura di esprimere la propria opinione, perché potrebbe essere derisa."In particolare su quest’ultima frase vi invito ad un’attenta riflessione: se noi lasciamo dipendere i nostri successi, i nostri stati d’animo, la nostra felicità o infelicità da quello che gli altri pensano di noi, non stiamo vivendo, ma soltanto accettando di trasformarci da persone a cose in balia delle decisioni delle persone che ci circondano.
Impariamo a dire no, quando è solo la paura ad imporci di dire si! Per tutte volte che la diamo vinta ai nostri interlocutori infatti, pagheremo un prezzo altissimo con la nostra interiorità. La maggior parte delle problematiche psicologiche è appunto il frutto di frustrazioni ed insoddisfazioni di questi tipo.
Non valorizzare e declinare i nostri desideri e le nostre aspirazioni non è altruismo.
Perfino generosità, disponibilità ed altruismo devono avere radici profonde in una terra fertile alimentata da una grande quantità di autostima, che se invece manca, ci renderà svogliati anche in gesti filantropici, e quest’ultimi cederanno in poco tempo il posto ad invidia ed insoddisfazione profonda.
Agire sul corpo per modificare la psiche
E' il principio su cui si basa la terapia psicosomatica. Perché ogni emozione, ogni pensiero ogni idea ha un suo corrispettivo simbolico in un’area del corpo. La psiche attraverso i neuroni, e sotto forma di impulsi bioelettrici, raggiunge infatti il sistema muscolare, modificandolo. «Chi è colpito dalla “sindrome del sì”, per esempio, si sente affettivamente dipendente dagli altri. Ha quindi una bassa energia muscolare e spesso si rifugia nel cibo», spiega Angelo Musso, autore di Carattere e salute (Centro scientifico editore). «Il suo sogno ? Amare ed essere amato da tutti. Per questo nella tipologia psicosomatica questo carattere è definito come “affettuoso”. Non a caso nella vita a due queste persone non sono mai in grado di separare la componente sessuale da quella affettiva. Il loro problema è donare completamente, senza però essere capaci di amare davvero se stessi». La soluzione:capire che l’affettività è una componente importante. Ma non l’unica. E riscoprire così le proprie potenzialità, smettendo di vivere «attraverso» gli altri. Come? «Rinforzando i muscoli delle gambe e ricorrendo alla digitopressione: si scoprirà così il piacere di camminare da soli, di essere indipendenti. E poi, imparando a liberare la rabbia repressa battendo ritmicamente mani o piedi prima di coricarsi».
Un pensiero magico, quasi superstizioso: è quello usato da alcune persone colpite dalla «Sindrome del si». «Sono convinte che rifiutare un favore possa avere consegueme disastrose. Dire di si diventa allora quasi un rito propiziatorio», spiega Giorgio Nardone, docente all’Università di Siena e autore di Terapia breve strategica (Cortina). Per liberarsi da questo schema mentale si possono allora utilizzare dei semplici «contro-rituali»: permettono di modificare il comportamento senza che il soggetto, all’inizio, ne sia davvero consapevole. «I cambiamenti più profondi non avvengono con le spiegazioni razionali. Ma sperimentandoli più volte. Un esempio? Prima di dire per l’ennesima volta “sì”, suggerisco di giocare con la sorte, tirando una moneta. Sarà allora “il caso” a decidere. Risultato: se esce il “no”, la persona non si sentirà in colpa. E sperimenterà le proprie risorse. Imparando lentamente ad opporsi da sola». Ma l’obiettivo è scardinare anche un’altra falsa credenza: dimostrare che chi esprime il proprio dissenso ottiene più (e non meno) consensi. Come? «Cominciando a dire dei “no” mascherati: “potrei farlo, ma non so se ho tempo”; “mi piacerebbe dirti di sì, ma forse non sarei in grado”. Basta fare questo “esperimento” per pochi giorni per scoprire di essere diventati più desiderabili: perché nessuno stima davvero chi si annulla»
Suggerimenti per migliorare questo comportamento
“Rendersi conto delle ragioni storiche di questo comportamento verso gli altri è senz’altro un primo passo che consente di essere autentici nelle relazioni.
- Essere consapevoli di dire sì, quando invece si vorrebbe esprimere un rifiuto, come se fosse un atteggiamento automatico.
- Imporsi quasi di esprimere i propri desideri
- Rischiare di deludere e dire di no piuttosto che coltivare questo bisogno continuo di non deludere l'altro.
- Cominciare a dire no nelle piccole azioni quotidiane.
A poco a poco ci accorgeremo che questa incondizionata disponibilità in realtà ci mette in prigione. Il rischio di esprimere rifiuto invece ci darà la speranza di uscire da questa gabbia e di comprendere che le nostre relazioni vanno bene anche se qualche volta diciamo di no. Con l’esercizio impareremo a riconoscere quali sono le persone e le situazioni giuste per noi”.
L’autostima ha qualcosa a che fare con l’illuminazione spirituale?
In altre parole, una forte autostima riflette un maggiore avanzamento spirituale rispetto alla bassa autostima? Abbiamo bisogno di un “ego sano” prima di potere avanzare spiritualmente?
Indipendentemente da come la mettiamo, l’ego è sano alle sue condizioni. Utilizza l’alta e la bassa autostima per il suo scopo di rendere reali il corpo e il mondo, mantenendoci così radicati nel sogno di separazione.Bisogna comprendere che la nostra autostima sia alta o bassa,fa riferimento tanto al corpo psicologico ed emozionale quanto al corpo fisico. L’autostima', in termini egoici, non significa altro che l’ego si è illuso nell’accettare la propria realtà …” Dovremmo vedere la percezione che abbiamo di noi stessi, sia essa gonfiata o sgonfiata, come il riflesso della nostra scelta di identificarci con il corpo e renderlo reale. In questo senso, alto o basso sono la stessa cosa: non c’è una gerarchia di illusioni. Sono tutte opportunità di perdonarci per chi pensiamo di essere quando neghiamo chi siamo veramente.
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(Fonti:http://www.psicologiadelbenessere.it - http://spiritualita.ecletticamente.com
Rivisto da: ragazzaindaco.blogspot.it)
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